In questo ultimo articolo mi pregio condividere con clienti, amici e nuovi lettori, il capitolo finale della mia Tesi di Laurea, risalente ad alcuni anni or sono, presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Firenze, su ” La natura giuridica della mediazione nella civilistica italiana del ‘900″, in quanto ritengo sia sempre più urgente creare i presupposti di maggior riconoscimento e tutela dei mediatori che svolgono attività complessa nei settori dell’hotellerie e dello sviluppo immobiliare e della valorizzazione immobiliare in genere.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Il presente lavoro dopo aver ripercorso le fasi del dibattito dottrinale del novecento sulla natura della mediazione che ha portato alla Legge n. 39 1989, ma senza affatto esaurirsi in essa, si propone, affrontando questa annosa questione alla luce dei suddetti sviluppi della civilistica italiana del secondo ‘900, di far per così dire emergere e circoscrivere una figura di mediatore nuova e particolarmente qualificata accanto ad una disciplina generale della mediazione certamente indispensabile, figura qualificata che esiste certamente nella realtà e che, nonostante la Legge n.39/1989 abbia certamente voluto regolarla e probabilmente persino auspicarla, non trova nel concreto né un vero riconoscimento sociale né adeguata tutela giuridica aldilà di quanto previsto dalla disciplina generale.
Difatti, come abbiamo evidenziato, la citata Legge n. 39/1989 arricchisce certamente la nozione di mediatore data dall’art. 1754 c.c. di un elemento ulteriore e cioè la necessaria iscrizione nell’apposito ruolo1, poco incidendo la recentissima disciplina del decreto Lgs. n. 59/2010 che ha abolito il ruolo nel recepimento della direttiva 123/2006/CE, anche nota come direttiva Bolkenstein sulle liberalizzazioni, dato che l’impianto della legge n. 39 del 1989 e tutti i requisiti tassativamente richiesti per lo svolgimento della professione di mediatore sono rimasti invariati. E piuttosto semplicemente spostando i controlli da ex ante a ex post.
La Legge n. 39 del 1989 ha previsto inoltre una incompatibilità pressoché assoluta tra la professione di mediatore e qualsiasi altra professione: la mediazione è divenuta così attività protetta ed esclusiva2.
La Legge n. 39 del 89 ha inoltre previsto all’art. 2, secondo comma, dedicato agli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, la cosiddetta mediazione unilaterale, così finalmente legittimandola, ovvero una situazione fiduciaria ove alla mediazione si affianca un rapporto di mandato3, rapporto che si conferisce al mediatore in ragione proprio della sua riconosciuta professionalità e delle capacità (certamente sia intellettuali che materiali) di cui lo stesso è portatore. In materia di mediazione unilaterale e della sua configurazione giuridica si è recentemente pronunciata la Cassazione con la sentenza 16382 del 14 Luglio 2009, la quale ha stabilito che configurerebbe una mediazione atipica il caso in cui il mediatore abbia agito su incarico di una delle parti, assumendo così la posizione di mandatario. Nel caso di mediazione negoziale unilaterale sarebbe infatti configurabile una responsabilità extracontrattuale del mediatore nei confronti della parte che non gli ha conferito l’incarico4, cioè la mediazione di tipo contrattuale, quella che deriva dal conferimento formale di un incarico non è ricondotta ad una figura atipica ma bensì ad un vero e proprio mandato. Questa sentenza, vista la sua portata innovatrice, ha prodotto numerose critiche poiché individua la mediazione come istituto non negoziale e individua nel cosiddetto “contatto sociale” la fonte delle obbligazioni che incombono sul mediatore, e che se violate, ne determinano la responsabilità contrattuale.
La fonte individuata da questa dottrina consiste in fatti socialmente rilevanti e non in un vero e proprio contratto, trattandosi quindi di rapporti contrattuali di fatto. In pratica è il fatto socialmente rilevante del contatto che determina la nascita di un rapporto contrattuale. Sottolinea il ROSSIcome “la distinzione tra l’area contrattuale e quella extra contrattuale sia andata gradatamente scemando”, “la scoperta giuridica della culpa in contraendo, elaborazione del VON JHERING, ha consentito l’espansione della responsabilità contrattuale, anche in mancanza di contratto, attribuendo rilevanza all’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede nella fase delle trattative pre-stipulatorie” 5.
Con la responsabilità da contatto sociale si va estendendo l’area della tutela o protezione del cittadino e consumatore. Con essa si va infatti oltre la culpa in contrahendo e gli obblighi di protezione andando “ad occupare terreni diversi” 6, creando cioè la figura nuova dell’obbligazione senza prestazione, la quale genera una responsabilità da contatto sociale che trova fondamento nella tutela dell’affidamento di una parte nella professionalità dell’altra. Anche in questo caso emerge incidentalmente ma con un forte rilievo giuridico l’elemento della professionalità del mediatore.
Tra le varie posizioni critiche in dottrina ci piace riportare quella del CHIARINI il quale sostiene che ” l’ipotesi ermeneutica fornita dalla cassazione nella suddetta sentenza non convince” puntualizzando che, “indipendentemente dalla natura contrattuale o no della mediazione, il tratto distintivo di tale figura rispetto al mandato deve essere ravvisato nella doverosità dell’attività che il mandatario si impegna a compiere in forza dell’incarico ricevuto, laddove il mediatore resta tendenzialmente libero di attivarsi o meno” 7. Ciò che occorre trattare, a ben vedere, insiste il CHIARINI, è ” l’incidenza del requisito della c.d. imparzialità del mediatore” che prescinde dal rapporto che può aversi con una delle parti e che si produce allorché “egli abbia svolto un’attività utile nei confronti di entrambi i contraenti” e allorché anche l’altra parte “si sia giovata consapevolmente dell’attività mediatrice”.
Se finora ci siamo pregiati utilizzare alcuni spunti critici del LUMINOSO, vogliamo infine parzialmente discostarcene allorché questi risolve negativamente la questione se dopo la Legge n. 39/1989 il mediatore sia divenuto “professionista intellettuale”, sostenendo trattarsi comunque principalmente di un’attività che consiste nella messa in relazione delle parti, e quindi di un’attività che resta attività materiale (cioè di un’attività ausiliaria del commercio rivestendo perciò il mediatore la qualità d’imprenditore e non di libero professionista), fornita soltanto di altre attività accessorie, peraltro già previste dal Codice Civile (e ribadite dalla Legge 39/1989 all’art. 3, commi 1,3,4).
Riteniamo che l’argomentazione svolta dal LUMINOSO dovrebbe condurre ad una risoluzione positiva di questo quesito, perlomeno nel senso che l’attività del mediatore consiste sia in attività per così dire materiali che intellettuali, ed entrambe debbono trovare nell’ordinamento riconoscimento e tutela. Infatti, allorché il legislatore, con la Legge n. 39/1989 istituisce il Ruolo dei Mediatori e nel contempo all’art. 3 primo comma e terzo e quarto comma della medesima legge, riconosce essere pertinenza dell’attività del mediatore anche “le attività complementari o necessarie per la conclusione dell’affare” e “gli incarichi di perizie e consulenza tecnica”, ribadisce in maniera inequivocabile intendere la mediazione anche come professione intellettuale. Infatti, l’attività di messa in relazione delle parti è richiamata anche in una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che le agenzie immobiliari hanno il solo compito di mettere in contatto due parti contrattuali8, nonché dalla giurisprudenza di merito anch’essa pronunciatasi sul punto affermando che per aversi diritto alla provvigione non basta che l’affare sia stato concluso, ma in forza dell’art. 1755 c.c., occorre altresì che la conclusione sia avvenuta per effetto dell’intervento del mediatore, il quale, cioè, deve avere messo in relazione i contraenti con un’attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare9, e quindi rimane attività fondamentale per il sorgere del diritto alla provvigione per intermediazione, ma trattasi di un’attività cui si affiancano altre attività previste dalla l.39/89 che dovrebbero essere semmai meglio regolamentate (com’è per molte altre professioni intellettuali almeno finché non interverranno adeguate liberalizzazioni anche in Italia) perlomeno con una migliore specificazione del c.d. rimborso spese previsto già dall’art. 1756 c.c. e ben poco attuato nella pratica dove invece tutte queste “attività ausiliarie” potrebbero trovare maggior riconoscimento e remunerazione.
Nell’affrontare il quesito se la mediazione debba qualificarsi anche come professione intellettuale o meno, quesito certamente inerente alla natura della mediazione, prendiamo le mosse, prima ancora che dalla Legge n. 39/1989 commi 1, 3, 4, dal carattere del rapporto di mediazione come rapporto di durata.
Come giustamente osserva il MINASI10, la mediazione ha carattere di rapporto di durata, carattere desumibile dal fatto che la prestazione del mediatore consiste non nella semplice conclusione dell’affare, ma principalmente nello svolgimento dell’attività che a tal fine è diretta. Dobbiamo considerare superata la soluzione del CARRARO11, la cui tesi in materia è stata sempre minoritaria in dottrina e mai seguita dalla giurisprudenza, allorché sostiene che il contratto di mediazione si perfezioni soltanto nel momento stesso in cui l’affare viene concluso, ciò che costituirebbe la prestazione del mediatore, e sostenendo che l’incarico a questi altro non è che una proposta di contratto. Come detto, questa tesi possiamo considerarla superata sia dalla giurisprudenza che dal legislatore.
Vogliamo invece indagare il contenuto di questo rapporto di durata che nasce con l’incarico e dimostrare attraverso la descrizione delle molteplici attività (sia materiali che intellettuali) di cui consta, come non possa negarsi al mediatore professionale (ex Legge n. 39/1989), la qualità di professionista intellettuale oltre che di imprenditore ex art. 2082 c.c. E’ in virtù delle sue competenze e della sua conoscenza del mercato nonché dell’esperienza nel negoziare (talora una vera e propria arte, riconosciuta fin dai tempi antichi), che viene scelto dalla parte acquirente il mediatore quale professionista, talora unilateralmente come abbiamo già visto, e che viene sovente incaricato di consigliare nell’investire ( si pensi alla figura recentemente diffusasi del c.d. “advisor” nel settore immobiliare che spesso affianca fondi d’investimento e società di gestione del risparmio nella acquisizione, dismissione o nella gestione di importanti “assets” e patrimoni) e ricercare sul mercato l’oggetto migliore ed ideale a soddisfare le esigenze sia d’investimento, che abitative, che edonistiche.
E’ in virtù delle medesime competenze, esperienza ed autorevolezza, nonché delle capacità di realizzare un’adeguata operazione di promozione e marketing grazie agli strumenti imprenditoriali di cui si è dotato, che il mediatore viene indicato come professionista da parte venditrice. Talvolta l’incarico di vendita segue ad una valutazione immobiliare dove il mediatore opera sul mercato in qualità di esperto indipendente allorché è chiamato a fornire una valutazione trasparente per il mercato (si pensi al recente fenomeno delle dimissioni d’immobili pubblici ed a come varie figure di mediatori siano stati coinvolti in qualità di esperti nel coadiuvare nella fase della valutazione e nel gestire la successiva fase della commercializzazione).
Nondimeno diremmo che la stessa attività di messa in relazione delle parti, che abbiamo detto alcuni autori considerano l’unica o prevalente attività di natura prettamente materiale, ben lontana dall’esser soltanto tale, consta invece di capacità di persuasione e convincimento, spesso frutto dell’esperienza e della riconosciuta autorevolezza acquisita attraverso molteplici conoscenze, che presuppongono un percorso intellettualmente variegato ed interdisciplinare che unisce conoscenze di natura tributaria e di marketing, legale e tecnico-urbanistica, a spiccate doti pratiche e negoziali in senso stretto.
Che poi tra i mediatori vi siano taluni capaci di interpretare in maniera maggiormente professionale la mediazione rispetto ad altri è certamente vero ed è cosa che può dirsi per ogni professione a ben guardare, e non può certo far perdere di vista quel riconoscimento che certamente la legge ha inteso produrre nella sua costante tensione a disciplinare il meglio e non viceversa. Per meglio chiarire questo punto sarà utile far riferimento nuovamente al LUMINOSO allorché giustamente osserva che l’elemento centrale della fattispecie regolata dall’art. 1754 è la messa in relazione delle parti12, e che la formula va interpretata estensivamente, in aderenza con i dati della realtà sociale, cioè facendovi rientrare svariate attività del mediatore tutte in grado di qualificarsi come modalità di messa in relazione, senza che vi sia persino la necessità che il nesso causale tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare copra tutte le fasi della trattativa. Cioè, il codice civile e la sua interpretazione in dottrina ed in giurisprudenza sono certamente generose, fino a riconoscere l’opera di messa in relazione anche in una c.d. mera segnalazione.
Certamente in questi casi, peraltro frequenti e meritevoli di tutela, è difficile obiettare a chi, come il LUMINOSO13, sostiene trattarsi di attività meramente materiale e non si può negare che il disposto dell’art. 1754 c.c. sia in ciò sintetico e chiaro.
Vogliamo piuttosto mostrare come la Legge n. 39/1989 abbia voluto regolare un’attività più complessa e composita, di una figura professionale, pensando al meglio e volendo dare ad esso riconoscimento e tutela, e quindi in qualche modo auspicando l’emersione e diffusione di una professione che, come abbiamo detto, viene svolta in modo qualitativamente diverso, probabilmente più di ogni altra.
Quindi gli articoli 1754 e ss. c.c. dettano una serie di disposizioni per così dire “base” sulla mediazione, mentre la Legge n. 39/1989 specifica le caratteristiche della mediazione professionale nel quadro di un generale auspicio di elevazione di questa professione pur mantenendo il disposto degli codice civile. Notevoli sono infatti le ripercussioni di questa legge sulle disposizioni degli artt.1754 ss. c.c.14
Abbiamo appena detto, citando LUMINOSO15, che la legge e la sua interpretazione in senso estensivo tengono conto dei dati della realtà sociale. Certamente nella realtà sociale esistono varie figure di professionisti che svolgono attività di consulenza ed intermediazione, specie nel settore immobiliare, come in quello nautico, (per non andare a disquisire di tutti quei casi in cui avvocati divengono mediatori, i c.d. avvocati d’affari, nel cui caso il compenso viene corrisposto ovviamente a titolo di consulenza non potendo come abbiamo visto svolgere l’attività di mediazione altri che il mediatore professionale), figure che divergono anche notevolmente quindi l’una dall’altra. E’ certamente auspicabile che ciascuno trovi nell’ordinamento la giusta regolamentazione, tutela ed anche, perché no, in ciò maggior e miglior riconoscimento sociale.
Volendo perciò fornire in particolare adeguata tutela a quelle forme di intermediazione che afferiscono ad un rapporto di durata e consistono in maniera significativa di quelle “attività complementari e necessarie per la conclusione dell’affare”, che arricchiscono la figura base di mediazione, come mera messa in relazione delle parti o segnalazione, non possiamo in questa sede che trattare della questione del recesso, che preclude ad una riflessione sulle obbligazioni e responsabilità che scaturiscono in capo al mediatore.
E’ opinione prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza, che, sia il mediatore che le parti abbiano diritto di recesso dal rapporto di mediazione senza incorrere in nessuna responsabilità, anche in assenza di giusta causa, senza perciò incorrere per questo nella c.d. responsabilità precontrattuale per comportamenti che non s’informino alla buona fede. Questa quasi unanimità trova certamente motivo d’essere nella necessaria libertà del mediatore ovvero nell’assenza di doverosità come abbiamo visto , che vede il suo compenso completamente soggetto ad alea.
Il non essere configurabile nella mediazione la c.d. responsabilità precontrattuale, essendo sufficiente l’osservanza del generico dovere di lealtà e correttezza (di cui all’art. 1175 c.c.), certamente appare rafforzare la tesi che ritiene la mediazione attività di natura meramente materiale, in ciò distinguendosi da tutte quelle altre attività professionali dove invece opera il disposto degli artt. 1337 e 1338 c.c.
E’ tuttavia ben ravvisato come il mediatore non può ritenersi obbligato a lavorare per un risultato che, più che dai suoi sforzi, dipende dalla volontà di chi ha promesso il compenso soltanto ad affare concluso. Secondo il MINASI la giustificazione della libertà di recesso del mediatore è insita nel carattere di rapporto di durata della mediazione, carattere che è desumibile dalla circostanza che la prestazione del mediatore consiste non nella semplice conclusione dell’affare , ma principalmente nello svolgimento dell’attività che a tal fine è diretta16. Perciò il recesso è consentito al mediatore e non ad altri professionisti non perché trattasi di mera attività materiale ma poiché è semplicemente un risvolto della giusta reciprocità di diritti ed obblighi tra le parti insita in questo particolarissimo rapporto.
E’ giusto chiedersi quindi in questa sede , nell’ambito dell’indagine che si sta brevemente svolgendo sulla natura della mediazione, se, alla luce della suddetta libertà di recesso del mediatore e del conferente l’incarico, possa la sua attività essere considerata intellettuale e non puramente materiale come la dottrina e giurisprudenza prevalenti invece sostengono.
Anche in questo caso è utile fare riferimento ad una delle tesi del MINASI , allorché questi parla del tempo , “sommo bene” fin dai tempi antichi come ci ricorda Seneca rivolgendosi a Lucilio , rilevando che “ …Qui il tempo non attiene solo alla produzione del risultato , ma anche all’esecuzione , in quanto chi conferisce l’incarico ha interesse che la prestazione dei mediatori si protragga in modo da moltiplicare la possibilità di riuscita”. Ora vediamo che questa attività, questo tempo, sono impiegati professionalmente e che quindi senza dubbio, l’attività del mediatore è sia professionale (lo svolgimento dell’attività), che materiale (la messa in relazione delle parti), né il fatto di poter recedere può in alcun modo rilevare , dato che è anzitutto reciproca, e che non è previsto alcun tipo di indennizzo ad essa correlato. Né peraltro è prevista alcuna forma di remunerazione dell’attività stessa per il suo semplice svolgimento fin tanto che questa non porti ala conclusione dell’affare (se non il mero rimborso spese ex art 1756 c.c. peraltro anch’esso largamente inapplicato).
E’ quindi carattere della mediazione il suo essere professione vorrei dire la più libera e ciò è certamente insisto nella sua natura in quanto soggetta ad una superiore alea legata alla libertà di scelta delle parti contraenti , edè sulla base di questa osservazione che il legislatore potrebbe muoversi nella direzione di distinguere il livello di attività professionale svolta ed elevare così la figura stessa degli intermediari professionali. A ciò potrebbe contribuire l’introduzione e la disciplina di figure quali quella del’”advisor” e dell’esperto indipendente che abbiamo precedentemente citato.
Non sembra invece opportuno richiedere l’introduzione di tariffari e compensi per le attività dirette alla realizzazione del risultato , poiché probabilmente ciò snaturerebbe l’istituto della mediazione e vorrei dire il suo essere professione liberale e contravverrebbe anche certamente al più generale indirizzo verso ampie liberalizzazioni che ha fatto seguito alla direttiva Bolkenstein sulla liberalizzazione dei servizi e che ha portato negli anni più recenti ad eliminare il ruolo mediatori (con vivaci critiche da parte di tutte le associazioni di categoria, Fiaip, Fimaa, Anama etc, tuttora in atto), eliminazione peraltro fittizia , dato che sono rimasti inalterati i presupposti dello svolgimento dell’attività di mediazione e cioè i necessari requisiti soggettivi, morali, professionali, tecnici e finanziari.
Basti la provvisione del rimborso spese dell’art. 1756 c.c. da applicarsi auspicabilmente più spesso di quanto non avvenga oggi, per coprire in particolare tutti quei casi in cui sussiste una sproporzione tra l’impegno del mediatore e quello della parte intermediata, specie allorché non sia conferito un incarico esclusivo, esponendo il mediatore al rischio altissimo di vedere risorse e tempo impiegati invano e quindi in tal modo aumentando a dismisura l’alea già di per se insita nell’essere il risultato soggetto al mercato certamente nonché alla libera scelta del conferente di accettare o meno una eventuale offerta.
1 Cfr. A. LUMINOSO – G. ZUDDAS, La mediazione. Il contratto di agenzia, in Trattato di diritto commerciale, Torino, 2005, p. 15.
2 Cfr. A. LUMINOSO – G. ZUDDAS, op. cit., p. 6.
3 Cfr. A. LUMINOSO – G. ZUDDAS, op. cit., p. 16.
4 Cfr. Cass. Civile , III sezione, 14 luglio 2009, n. 16382.
5 Cfr. S. ROSSI, Contatto sociale (fonte di obbligazione), in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ. app. di agg. V, UTET, Torino, 2010 pp. 347 ss.
6 Cfr. S. ROSSI, op. cit., p. 351.
7 Cfr. G. CHIARINI, La natura della mediazione tra attività giuridica in senso stretto e mandato, in Diritto Civile, a cura di P. RESCIGNO, pp. 816-824.
8 Cfr. Cassazione, sentenza del 6 novembre 2012 n. 19075.
9 Cfr. Tribunale di Reggio Emilia sentenza n. 1428 del 2010.
10 Cfr. MINASI, Mediazione (dir. Priv.), in Enc. Dir., XXVI, Milano, 1976, p. 38.
11 Cfr. CARRARO, La mediazione, Padova, 1952, p. 36 ss.
12 Cfr. A. LUMINOSO – G. ZUDDAS, op. cit., p. 19.
13 Cfr. A. LUMINOSO – G. ZUDDAS, op. cit., p. 21.
14 Cfr. A. LUMINOSO – G. ZUDDAS, op. cit., p. 155.
15 Cfr. A. LUMINOSO – G. ZUDDAS, op. cit., p. 19.
16 Cfr. MINASI, op. cit., p. 39.